Il monumento a Garibaldi di Perugia, opera di Cesare Zocchi, inaugurato nel 1887 (Facebook Provincia Perugia)

DUE VISITE DI GARIBALDI IN UMBRIA

di Gian Biagio Furiozzi

Il 17 dicembre 1848 Giuseppe Garibaldi partì da Cattolica con un contingente di volontari per raggiungere Foligno, attraverso Sigillo e Nocera, in vista di proseguire poi per Roma, dove era scoppiata la rivoluzione. A Foligno mise in piedi la Prima Legione Italiana, composta di 500 uomini e 50 cavalli. Da Roma ricevette l’ordine di retrocedere su Ancona, per contrastare eventuali sconfinamenti dell’esercito borbonico nelle Marche. Prima però di lasciare Foligno, il 28 dicembre volle recarsi a Perugia.
Partito verso mezzogiorno con il fido Aguyar, dopo una sosta a Santa Maria degli Angeli per il cambio dei cavalli, giunse in città, dove venne accolto festosamente dalla popolazione e dalla banda musicale. Tra applausi e bandiere, venne accompagnato al Corso e prese alloggio nel Palazzo dei conti Baldeschi, dal cui balcone tenne un breve discorso. Qui venne a trovarlo il Delegato governativo Girolamo Rota, al quale il Generale disse che la sua permanenza in città sarebbe stata breve, appena quattro ore, e che il motivo della visita era quello di verificare personalmente i sentimenti della popolazione nei confronti dei suoi legionari. Sembra invece che il vero motivo della brevissima visita fosse da attribuire all’esigenza di reperire delle risorse finanziarie per le sue truppe, almeno secondo quanto ebbe a riportare Ermanno Loevinson nella sua Storia della Legione Garibaldina, tesi condivisa da Lino Martini in un recente volume sullo stesso argomento. La fonte pare che sia stata un resoconto di un parroco di Città di Castello. Garibaldi ripartì dunque immediatamente, attraversando a ritroso l’Appennino per la via di Colfiorito e raggiungendo Tolentino, dove venne ospitato dal conte Silveri. Dopo pochi giorni sarebbe stato di nuovo richiamato a Roma, che raggiunse riattraversando l’Appennino, questa volta per la via di Norcia e Cascia.
Resta da accennare ad una voce popolare secondo cui Garibaldi, nel corso della visita a Perugia, avrebbe effettuato anche una visita in una fabbrica di candele esistente all’epoca alla periferia del capoluogo umbro. Non ne abbiamo la prova, anche se possiamo ricordare che, qualche anno dopo la caduta della Repubblica Romana, egli, recatosi a New York, lavorò in effetti, per qualche tempo, nella fabbrica di candele del suo amico Antonio Meucci.
Garibaldi avrebbe dovuto effettuare una seconda visita a Perugia, provenendo dalla Toscana, il 24 settembre 1867, essendovi stato acclamato presidente onorario della Società di Mutuo Soccorso e dove avrebbe dovuto essere ricevuto dai rappresentanti del Municipio e dell’associazionismo democratico. Ma venne arrestato dai carabinieri a Sinalunga su ordine del Governo, e su pressioni di Napoleone III.
In vista della spedizione di Mentana, il 26 agosto 1867 Garibaldi giunse a Orvieto, salutato dal Sindaco Ravizza con un manifesto nel quale si esprimeva l’ammirazione e la riconoscenza dei cittadini verso la sua persona. Lo stesso Sindaco, con tre assessori, lo accolse alla porta della città. Il Procuratore del Re, in un rapporto, scrisse che il Generale entrò in città preceduto dalla banda musicale di Cetona, e lungo tutta la via del Corso lo accompagnarono le acclamazioni, mentre dalle finestre imbandierate si gettavano “fiori a nuvole”. Prese alloggio nella Locanda delle Belle Arti, sulla piazza più centrale della città, gremita di folla.
Alle ripetute chiamate, Garibaldi si affacciò alla finestra e tenne un lungo discorso nel quale, dopo aver ricordato la sua visita a Orvieto durante la ritirata da Roma del 1849, attaccò con estrema durezza Napoleone III, anche se lo distinse dalla popolazione francese, i preti e i soldati al servizio del Papa. “Quelli – disse – sono mercenari; non faremo loro l’onore di prenderli alla baionetta; li batteremo e li sperderemo coi calci del moschetto”. E concluse: “Voi ed io andremo a Roma, presto, ed a marcio dispetto di chi non lo vuole. Commosso io vi saluto. Addio”.
Il discorso fu accolto dalla folla con applausi frenetici e prolungati. Purtroppo, però, a Mentana i garibaldini furono sconfitti, sia per i nuovi fucili francesi e sia anche per la defezione di 3.000 mazziniani, che non volevano consegnare Roma ai Savoia. Tre anni dopo, sarebbe stato l’Esercito italiano a liberare la città e a farne la capitale del Regno.